2020 l'anno del Covid
di Piero Fantozzi
Una macchina fotografica è molto meglio di un fucile. Che ne dite? E’ il caso di questo bell’album dell’implacabile Luigi Sassoli, che è da ringraziare per l’idea, l’impegno e il risultato. Non dovrà pagarmi un caffè per questo invito, ma i caffè mi fanno male. Peraltro, come mi pare disse Blaise Pascal, parlare di sé è odioso, quindi prometto di astenermi, e di fare alcune riflessioni su questa pestilenza, solo cinque, però.
La prima: mi ha molto colpito l’arruolamento di infermieri e medici promossi sul campo, senza esami di abilitazione: detto che non ho dubbi sulla loro professionalità, anche se in fieri, la cosa mi ha portato a ricollegare questo fatto alla partecipazione dei “ragazzi del ‘99” alla grande guerra, gesto tra il disperato e il geniale che comportò certo lutti e disgrazie, ma che di fatto rafforzò l’orgoglio nazionale..
La seconda: questa che stiamo vivendo è una guerra, contro un nemico subdolo e invisibile. Le prove sono nel quotidiano: interventisti/vaccini, non interventisti/negazionisti.
Apriamo le scuole, anzi no, DAD; tutti sui traghetti per la Sardegna, e andiamo in discoteca; no, niente da fare, tutti a casa. Andiamo allo stadio per la partita, no, mettiamo (orribili e tetre) sagome sugli spalti. Mi consola il web, con battute irresistibili: la prima per me è quella del gatto multato e senza croccantini per un mese perché erano in 44 in fila per tre col resto di due. Mi aiuta un po’ rileggere la peste di Atene con “I medici che non sapevano che fare e che erano l’uno contro l’altro”, o l’immenso Manzoni, con la peste a Milano, per poi ricordare le migliaia di morti a Palermo per la peste poco prima dell’impresa dei mille. Viene fuori oggi un Paese a macchia di leopardo, colorato, ma vivo, che di fatto risponde bene – anche con le polemiche, perché no – a una pandemia che nessuno avrebbe mai immaginato.
La terza: e qui entriamo in scena noi, e quelli della nostra generazione: pur avendo vissuto anni di pace, ci siamo lasciati alle spalle Baia dei Porci (Cuba 1963), Golfo della Sirte, attentati in Alto Adige, anni di piombo: e non dimentichiamo le analogie odierne con mucca pazza, AIDS (ricordate il contagio da tazzina di caffè?) peste suina, peste aviaria. Ritengo che in quei frangenti aver mantenuto saldi i nervi e adoprato il cervello ci abbia aiutato, ma non solo.
La quarta: e qui lasciatemi andare con fatti di cui ho avuto conoscenza diretta: pensiamo alle coppie separate in casa, dove debbono stare chiuse, o più semplicemente allo smart working (diverso dall’home working) che costringe due o più persone a parlare contemporaneamente davanti a uno schermo di fatti diversi e magari riservati, pensiamo agli eccezionali bambini, a scuola con la mascherina e con amichetti vietati, ricordiamoci – e molti di noi ne hanno – di medici, infermieri, operatori sanitari familiari in prima linea.
Infine, si legge tanto di RSA, scandali e scandaletti: personalmente mi costringo invece a rimuovere il pensiero di come fare a costringere all’autotutela un paziente disturbato mentalmente, o autistico, o con Alzheimer. Lasciamo perdere.
La quinta: a mio parere la vera e più efficace difesa risiede nei nostri valori – presenti e rafforzati fin dai tempi del 42° - nel nostro saper mediare con difficoltà, paure e screzi, nonché frugare nelle nostre conoscenze per fare quotidianamente quello che sappiamo fare, e proseguire così. E poi c’è un’opinione diffusa: siamo un riferimento per i nostri familiari, figli, nipoti, e perfino per i nostri – ormai rari – amici: uno specchio? Un conforto? Una parola, o una battuta? Ecco, meglio perdere un amico che una battuta: perciò lasciatemene riferire una, tanto maliziosa quanto saggia, e non irriverente: quando San Paolo sulla via di Damasco cadde da cavallo, avrebbe detto “Tanto dovevo scendere!”.
Un abbraccio.
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